Ieri a un certo punto
il Mendrisiotto si è acceso. Il cielo ha cominciato a lampeggiare come nemmeno
nelle migliori discoteche anni ’70, e questo è bastato a zittire il mondo:
tutti fermi ad aspettare, forse anche il sogno di una vita. Ma per poco, poi tutto è cominciato. Prima è arrivato il vento, quel vento circolatorio
che brandisce un albero dal basso, gli si stringe attorno e poi lo rilascia
andare; un po’ come accade alle setole delle spazzole per pulire le bottiglie: prima
si stringono, poi salgono, e infine scoppiano fuori. E così è accaduto: tutto è
scoppiato fuori.
La pioggia è arrivata con il suo solito fare sornione. Prima
con dei pic lievi sulle foglie dell’acero, poi con dei toc più secchi su quelle
del fico e gli inevitabili tuf sull’erba. I vellutati spuf delle rose sono quasi
subito stati sopraffatti dai tic provenienti dal tetto in lamiera del vicino, a
cui rispondevano i tuc tuc delle tegole, intercalati dai sonori teng della
grondaia. E tutto ha cominciato a risuonare: il tavolino in metallo del
giardino, la siepe, il corbezzolo, i pini centenari, l’asfalto, la panchina in
legno e il telone del grill. Ma mancava ancora una cosa. Allora ho allungato un
piede, poi l’altro, un braccio e infine io: per sentire che rumore avrebbe
fatto sulla pelle.
Ebbene, non ne fa. Nulla. Niente tic, toc, o spaf. Solo
silenzio. Muta. Zero decibel. Ma c’è un perché. La pioggia a contatto con l’essere
umano non emana alcun rumore, perché li attutisce. I pensieri si quietano, le
emozioni scorrono via e le tensioni si sciolgono; e a quel punto il silenzio ti accorgi di
averlo dentro. In pratica la pioggia fa in modo che tu possa raggiungere la condizione
giusta per ascoltare non solo i rumori emessi da ogni goccia, ma la sinfonia totale
della natura. Meravigliosa come sempre, con continui applausi a scena aperta.
Che bel post cara Miss
RispondiEliminaGrazie Giovy :-)
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